Senza pudore. Bis.

Accendo la tv, il decoder Sky, canale 500, tasto verde, speciale discorso di Fini.
Sono impaziente di ascoltare “le verità” annunciate del Presidente della Camera sull’affaire Montecarlo.
Mentre ero a lavoro mi son chiesto più volte cosa avrebbe mai potuto dire il neo martire del berlusconismo: citerà date e numeri? sfoggerà documenti inappellabili? quante volte farà il nome di Berlusconi? Chissà…
Ora è lì davanti a me, col suo faccione formato 16:9 e lo sguardo che mi trafigge dallo schermo del televisore.
Mi pare teso; i suoi occhi corrono freneticamente a destra e poi a sinistra: sta leggendo? Eppure lui è bravo nei discorsi a braccio…

Purtroppo da qualche tempo lo spettacolo offerto dalla politica è semplicemente deprimente.

Beh, questo l’aveva detto anche Berlusconi già stamattina e non ci voleva un video in stile Bin Laden per ribadirlo.
Prima delusione..

Da quando il 29 luglio sono stato di fatto espulso dal Popolo della libertà con accuse risibili

Vittimismo allo stato puro! Prima ha lanciato il sasso e ora vuol tirare indietro il braccio…
Bla bla bla…

So di dovere agli italiani, e non solo a chi mi ha sempre dato fiducia, la massima chiarezza e trasparenza al riguardo…

Ecco, ci siamo, ora tira fuori dal cilindro le prove del complotto…

…la famosa casa di Montecarlo, che non è una reggia anche se sta in un Principato, 50-55 metri quadrati, valore stimato circa 230 mila euro. Essendo in condizioni quasi fatiscenti e del tutto inutilizzabile per l’attività del Partito, l’11 luglio 2008 è stata venduta alla Società Printemps, segnalatami da Giancarlo Tulliani…

Toh, guarda. Dopo quasi 10 anni, il buon Gianfranco si rende conto che un bilocale a Montecarlo non è utile per il partito (se me l’avesse chiesto l’avrei permutato volentieri con casa mia…) e guarda un po’ chi si presenta alla porta con a braccetto un potenziale compratore? Il cognatino…Giancarlo Tulliani.
Ma della società off-shore “segnalatagli” dal fratello della bella Elisabetta non ha voluto sapere niente, Fini? Chi ne fosse il presidente, che flussi di denaro gestisse, se potessero essere sporchi i soldi con cui avrebbe rilevato la proprietà dell’immobile…
Nulla. Più facile fidarsi e intascare.
Sono sicuro che se ci fosse stato un giornalista nella stanza gli avrebbe posto più o meno le stesse domande. Furbescamente, però, Fini non ha voluto nessuno di fronte alla scrivania. Solo telecamera e gobbo.
Fascista!

Andiamo avanti…

Come ho già avuto modo di chiarire, solo dopo la vendita ho saputo che in quella casa viveva il Signor Giancarlo Tulliani. Il fatto mi ha provocato un’arrabbiatura colossale, anche se egli mi ha detto che pagava un regolare contratto d’affitto e che aveva sostenuto le spese di ristrutturazione.

Come come?
Cioè, Fini non sa dove diamine abita il cognato? Che bella famiglia…
Il punto però non è questo.
A ben pensarci, una volta venduta una proprietà immobiliare non è richiesto conoscere l’identità di chi poi lo abiterà o lo abita a distanza di tempo.
Semmai c’è da chiedersi chi sarebbe così fesso da accollarsi le spese di ristrutturazione (a Montecarlo) per poi rimanervi solo come affittuario.
A come dice Fini, la casa fu valutata 230 mila euro. All’epoca. Se ad oggi vale oltre un milione vuol dire che i lavori son costati parecchio. Pro domo di chi?
E poi: ma che t’incazzi col cognatuzzo tuo?! Che t’ha fatto di così grave da arrabbiarti in quel modo? Perchè chiedergli di non abitarci più? Saranno affari suoi a chi vuol pagare la pigione per villeggiare dove gli pare?

Andiamo avanti…

È stato scritto: ma perchè venderla ad una società off shore, cioè residente a Santa Lucia, un cosiddetto paradiso fiscale? Obiezione sensata, ma a Montecarlo le off shore sono la regola e non l’eccezione.

Che fa, scherza?!Fa tanto il moralista (ed è qui che casca l’asino) e poi, solo due anni fa chiudeva occhi e orecchie su chi potesse essere il compratore dell’immobile monegasco. E non è bello si nasconda dietro il più ipocrita dei “così fan tutti”, perchè è palese stia usando due pesi e due misure rispetto all’atteggiamento di disapprovazione spesso tenuto e palesato nei confronti di Berlusconi!

Certo anche io mi chiedo, e ne ho pieno diritto visto il putiferio che mi è stato scatenato addosso, chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo? È Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so.

Capiamoci, caro Fini: a parte il fatto che ti basterebbe chiedere a tuo cognato di mostrarti il contratto d’affitto (che lui dice di avere in tasca, ma che in tanto non pensa proprio di far vedere a nessuno) e poi mostrarlo in mondo visione sbattendolo in faccia ai tuoi detrattori; ma a te che importa chi è il proprietario della casa di Montecarlo? Adesso non ha alcun senso. La domanda dovevi portela al momento della vendita, non quando tutti ti stanno facendo notare che: o sei stato fatto fesso da tuo cognato (interpretazione benevola) o hai cercato di nascondere fin dall’inizio questo episodio di nepotismo (uno dei tanti per le nostre italiche usanze)…

Restano i dubbi? Certamente, anche a me.

Ma come?! Non s’era detto fin’oggi che chi faceva allusioni o sollevava dubbi fosse un guastatore della democrazia che contribuiva a gettar fango sugli avversari scomodi del “padrone”? Non era un vomitevole tentativo di killeraggio politico sollevare quei dubbi che tu stesso ammetti di avere?

se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la Presidenza della Camera…

Ancora: non serve la magistratura, nè la CIA per capire di chi sia la casa di Montecarlo. E comunque, se hai la coscienza pulita perchè mai dovresti dimetterti? Se non c’è reato e non eri consapevole di come stavano le cose, che c’entrerà mai l’etica pubblica?!
E per finire…

Un affare privato è diventato un affare di Stato per la ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona: la campagna si è avvalsa di illazioni, insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati.

Evvai! Doppio salto con capriola e avvitamento: ora è tutto di nuovo un affare sporco. E i dubbi di prima? Com’è che adesso hai di nuovo certezze incontrovertibili del complotto?

Fulmen in clausula.

Gli italiani si attendano che la legislatura continui per affrontare i problemi e rendere migliore la loro vita. Mi auguro che tutti, a partire dal Presidente del Consiglio, siano dello stesso avviso. Se così non sarà gli italiani sapranno giudicare. E per quel che mi riguarda ho certamente la coscienza a posto.

Fosse per lui, comunque, tutto dovrebbe finire a tarallucci e vino.
Prima segna il solco per distinguersi da Berlusconi e poi getta via l’aratro. Prima azzoppa il Premier e poi nasconde la zappa, facendo lo gnorri, sperando di cavarsela senza conseguenze.
Ma a che gioco gioca sto cavolo di Presidente della Camera?

Che spudorato! Non me lo sarei mai immaginato. Giuro!

Ma c’è chi è riuscito ad essere più spudorato di lui: dall’opposizione s’è levato un coro di benevola comprensione, quasi compassione.
Dal PD all’IdV tutti sono pronti a credere nella buona fede di Gianfranco Fini.
Proprio come hanno sempre fatto nei confronti di Berlusconi…

Vabbè, dai: per stasera credo sia tutto.

A questo punto non ci resta che aspettare il prossimo articolo di D’Avanzo su Repubblica.
Ho il sospetto però che Fini gli abbia rubato qualche idea, anche se sicuramente il copione sarà comunque il medesimo.

Si attendono sviluppi…

Comments
337 Responses to “Senza pudore. Bis.”
  1. cesare ha detto:

    Bruno pone domande legittime e fa osservazioni profonde. Non c’e’ molto da aggiungere alla sua analisi.

  2. bruno ha detto:

    La storia dell’appartamento e’ semplice, e’ Fini una persona onesta ed integra oppure no? Seguendo la storia ho alcune domande senza risposta:

    Come uomo politico la trasparenza e legalita’ (parole sue) sono d’obbligo, allora perche’ quando il fatto e’ venuto alla ribalta non ha preso tutte le scartoffie e non e’ andato dal magistrato? Perche’ la magistratura ha dovuto chiedere informazioni con rogatorie internazionali e mandare la GDF alla sede del partito.

    Perche’ prima ha negato, poi minacciato querela, e dopo due mesi va sul YouTube, senza contradittorio, a spiegare la sua verita’?

    Essendo l’immobile una donazione al partito, lui per trasparenza doveva chiedere delle stime, metterlo all’asta partendo da un prezzo base.

    Se era fatiscente, perche’ l’ha tenuto chiuso 8 anni, pagando spese condominiali, e poi l’ha venduto tramite il cognato, quando a Monecarlo ci sono fior fiore di agenzie immobiliari ben affermate.

    Dice di non sapere che ci abitava il cognato, allora se uno non sa cosa succede in casa o e’ un idiota o un bugiardo. Mi viene un dubbio, se il cognato non e’ il proprietario, allora chi e’, lui stesso? Anche perche’ la compagna e famiglia hanno anche una disputa con Gaucci per motivi di proprieta’.

    Buon per gli italiani che questa storia sia venuta alla luce perche’ avranno ulteriori informazioni sull’uomo politico.

  3. Nick ha detto:

    Scusate

    corrige, non corridge.

    E tre!

  4. cesare ha detto:

    Nick ho un regalo per te che ami la matematica 🙂
    Spunti matematici negli scritti agostiniani

    Bagni3Negli scritti di S. Agostino affiora spesso un vivo interesse per la matematica: in un recente studio, Carlo Toffalori fa notare che nelle opere agostiniane la parola “numeri” compare più di 500 volte.[1] E se in alcuni casi i riferimenti sono soltanto alla cosiddetta Teologia Aritmetica, termine con il quale si indica un’attenzione al significato mistico dei numeri (posizione che oggi appare scarsamente interessante), bisogna altresì osservare che, come vedremo, lo stesso S. Agostino si mostra buon conoscitore di alcuni contenuti matematici non banali.
    È stato sottolineato da più parti che S. Agostino si rivolge talvolta ai matematici con un atteggiamento assai critico. La sua celebre (e troppo spesso citata, non sempre con la necessaria attenzione al contesto originale in cui si trova espressa) posizione secondo la quale «il buon cristiano dovrebbe stare attento ai matematici e a tutti i falsi profeti» (nella traduzione tutt’altro che letterale riportata da moltissimi autori) sembrerebbe illuminante. Così S. Agostino proseguirebbe: «c’è il pericolo che i matematici abbiano stretto un patto col diavolo per annebbiare lo spirito, e mandare l’uomo all’inferno».
    Prima di approfondire la questione, esaminiamo la citazione originale (da De Genesi ad litteram, II, 17, 37):

    Quapropter bono christiano, sive mathematici, sive quilibet impie divinantium, maxime dicentes vera, cavendi sunt, ne consortio daemoniorum animam deceptam, pacto quodam societatis irretiant.

    Una traduzione più vicina al testo originale potrebbe essere la seguente:

    Ecco perché un buon cristiano deve guardarsi non solo dai matematici, ma anche da qualsiasi indovino che usi mezzi contrari alla religione, soprattutto quando dicono il vero, per evitare che ingannino l’anima mettendola in rapporto con i demoni e la irretiscano in una specie di patto d’alleanza con loro.

    Prima di concludere affermando senz’altro una sorta di odio radicale per i matematici da parte del Vescovo di Ippona, è opportuno chiedersi: che cosa significava il termine “matematico” tra il IV e il V secolo, soprattutto considerando che lo stesso testo originale affianca i “mathematici” a “quilibet impie divinantium, maxime dicentes vera”? Ci aiuta a rispondere un testo la cui redazione si può collocare pressoché contemporaneamente alla vita di S. Agostino (354–430). L’Historia Augusta, tradizionalmente attribuita a sei autori vissuti tra il III e IV secolo, Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Vulcacio Gallicano, Elio Lampridio, Trebellio Pollione, Flavio Volpisco, ma secondo valutazioni storiche più attendibili opera d’epoca più tarda (forse IV o addirittura V secolo). Un passo di tale opera è interessante:[2]

    Nemo Cristianorum presbyter non mathematicus, non haruspex, non alipts.

    I sacerdoti cristiani venivano dunque accusati di essere indovini e… matematici! Già questa “accusa” appare strana: le testimonianze storiche antiche non menzionano alcun esame di aritmetica o di geometria da superare per essere ammessi al sacerdozio. Ma una testimonianza ulteriore ci viene ancora da S. Agostino. In De diversis quaestionibus octoginta tribus (45.2, paragrafo dal titolo significativo: Contro i matematici) si trova il seguente vivace passo:

    Ma contro coloro che oggi si chiamano matematici, che pretendono di sottomettere le nostre azioni ai corpi celesti, di venderci alle stelle e di riscuotere da noi il prezzo stesso col quale siamo venduti, non si può dire nulla più esattamente e brevemente di questo: non rispondono se non dopo aver consultato le costellazioni.

    Inoltre, in De Doctrina Christiana (II, 21, 32; ancora una volta il titolo riportato è indicativo: Le scempiaggini dei genetliaci o matematici) leggiamo:

    Né si debbono distinguere da questo genere di perniciosa superstizione quelli che vanno sotto il nome di genetliaci, a motivo delle considerazioni fatte in base al giorno del compleanno e che ora la gente chiama astrologi.
    I «vagabondi che chiamano matematici» (in un’altra sferzante citazione tratta dalle Confessioni, IV, 4), quei matematici che stringono “un patto col diavolo” per “mandare l’uomo all’inferno”, dunque, non sono i cultori della disciplina di Euclide, bensì gli astrologi, gli indovini.
    Una lettura più attenta e imparziale dell’opera agostiniana rivela una situazione assai diversa per quanto riguarda la matematica propriamente detta. Ben lungi da posizioni di chiusura, S. Agostino ne proclama invece il valore ascetico (come rilevato da Ettore Carruccio)[3]; in Contra Academicos si afferma, contro gli scettici, che non è vero che non esistono verità certe: quelle enunciate dalla matematica e dalla geometria, per esempio, sono tali. La certezza della matematica, la sua (apparente) perfezione riflettono dunque la perfezione del Creatore alla quale l’essere umano può solo sperare di accostarsi.
    In De Doctrina Christiana (II, 38) S. Agostino afferma inoltre:

    Quanto alla scienza dei numeri, anche a chi è eccezionalmente tardo d’ingegno è evidente che essi non sono stati inventati dagli uomini, ma piuttosto da loro investigati e scoperti. Non può succedere, riguardo ai numeri, quel che è successo nei riguardi gli antichi la pronunciavano breve, ma intervenne Virgilio ed è diventata lunga.[4] Non così ciascuno di proprio arbitrio può fare sì che tre per tre non faccia nove o che non formino una fdella prima sillaba della parola Italia: igura quadrata o che non siano il triplo rispetto a tre, una volta e mezzo rispetto a sei, il doppio di nessun numero perché i numeri dispari non hanno la metà. Sia dunque che li si consideri in se stessi sia che vengano usati per comporre le leggi delle figure o dei suoni o di altri moti, i numeri hanno regole immutabili, regole che non sono state inventate dagliuomini ma scoperte dall’acume degli ingegni più dotati.

    Il riferimento ai «numeri dispari [che] non hanno la metà» si collega a Epistolae, 3, 2:

    Poiché il numero intelligibile cresce all’infinito, ma non decresce all’infinito (infatti non è possibile scomporlo oltre la monade), al contrario il numero sensibile (che altro è infatti il numero sensibile se non qualcosa di materiale, vale a dire la quantità dei corpi?) può diminuire all’infinito ma non può crescere all’infinito. E per questo forse a ragione i filosofi pongono la ricchezza nelle cose intelligibili, la povertà in quelle sensibili».

    E leggiamo in De Libero Arbitrio:

    [2, 8. 22. A]. Non ti faccio obiezioni perché affermi nella risposta verità innegabili. Ma potrai anche facilmente notare che i numeri stessi non sono derivati dalla esperienza sensibile se penserai che ogni numero varia il nome ogni volta che aumenta dell’uno. Ad esempio, se si ha due volte l’uno, il numero si chiama due; se tre, tre; e se si ha l’uno dieci volte, si denomina dieci ed ogni numero in genere si considera di tanto di quante volte ha l’uno [… 8. 23]. Inoltre seguendo la serie dei numeri dopo l’uno si incontra il due. Esso rapportato all’uno è il doppio. Il doppio di due non viene successivamente ma, interposto il tre, segue il quattro che è il doppio di due. Questa norma si estende con legge fissa e immutabile a tutti gli altri numeri. Così dopo l’uno, cioè il primo di tutti i numeri, con lo scarto che esso indica, è primo quello che contiene il suo doppio; infatti segue il due. Dopo il secondo, cioè dopo il due, con lo scarto che esso indica è secondo quello che contiene il suo doppio; dopo il due infatti primo è il tre, secondo il quattro che è il doppio del secondo. Dopo il terzo, cioè il tre, con lo scarto che esso indica, è terzo quello che è il suo doppio; infatti dopo il terzo, cioè il tre, primo è il quattro, secondo il cinque, terzo è il sei che è il doppio del terzo. Così dopo il quarto con lo scarto corrispondente il quarto contiene il suo doppio; infatti dopo il quarto, cioè il quattro, primo è il cinque, secondo il sei, terzo il sette, quarto l’otto che è il doppio del quarto. Così in tutti gli altri numeri scoprirai la norma che si verifica nella prima coppia di numeri, cioè nell’uno e nel due, e cioè di quante unità è un determinato numero inizialmente, di tante dopo di esso è il suo doppio [… 8. 24]. Con queste e molte altre dimostrazioni evincenti, coloro, ai quali Dio ha dato capacità alla teoresi e che l’eccessiva polemica non avvolge di foschia, sono convinti ad ammettere che l’intelligibile verità dei numeri non è di pertinenza del senso, permane idealmente immutabile ed è universale nella conoscenza per tutti i soggetti pensanti. Molte altre nozioni possono presentarsi che universalmente e quasi di pubblico diritto si rendono accessibili ai soggetti pensanti e sono intuite con atto di puro pensiero da tutti coloro che sanno intuirle, sebbene esse permangano inderogabili e fuori del divenire.

    Un importante riferimento all’aritmetica nelle opere di S. Agostino riguarda i numeri perfetti.[5] Si dice perfetto un numero naturale che coincide con la somma dei suoi divisori propri (intendendo con ciò i divisori minori del numero considerato). Ad esempio 6 è perfetto in quanto i suoi soli divisori propri sono 1, 2, 3 e risulta 1+2+3 = 6. Nelle opere agostiniane il riferimento alla perfezione del 6 compare più volte: in De Civitate Dei è rilevato come i sei giorni della creazione divina (perfetta) si colleghino alla perfezione aritmetica del numero 6. E in De Trinitate (IV), leggiamo:

    Il numero 6 si chiama perfetto perché si compone delle sue parti. Comprende in sé le tre frazioni seguenti: la sesta parte, la terza parte, la metà, né vi si può trovare un’altra frazione di valore determinato. Dunque la sesta parte di 6 equivale a 1, la terza a 2, la metà a 3. Ora 1 più 2;più 3 danno come totale 6.

    Inoltre nell’opera De Genesi ad litteram, dopo un’ampia dissertazione in cui si sottolinea nuovamente che il 6 è perfetto, troviamo un riferimento al secondo numero perfetto: il 28, che «ha cinque divisori, 1, 2, 4, 7, 14: questi numeri, addizionati insieme, danno il medesimo numero», cioè 28. L’Autore nota infine che «quanto più progredisce la serie dei numeri, tanto più i numeri che sono chiamati perfetti si trovano a distanza», osservazione corretta (dopo 6 e 28 troviamo infatti i numeri perfetti 496 e 8 128, entrambi noti ai matematici greci) e per alcuni versi dallo spirito sorprendentemente moderno.
    La trattazione agostiniana è competente e chiara, tutt’altro che ispirata a una forma di disprezzo per la matematica.
    Dal punto di vista storico, ricordiamo che il quinto numero perfetto è stato individuato nel XV secolo da un autore ignoto:

    33 550 336

    Il sesto e il settimo numero perfetto vennero identificati da Pietro Antonio Cataldi (1548–1626)[6]:

    8 589 869 056

    2 305 843 008 139 952 128

    Tuttavia il risultato più importante della matematica antica è di Euclide (Elementi, Libro IX, Proposizione 36):sia p è un numero primo tale che anche 2p–1 sia primo; allora 2p–1(2p–1) è un numero perfetto.
    I primi della forma 2p–1 si chiamano primi di Mersenne, dal nome del religioso francese Marin Mersenne (1588–1648). A ogni primo di Mersenne corrisponde un numero perfetto.
    Leonhard Euler (1797–1783) individuò (1772) l’ottavo numero perfetto:

    2 658 455 991 569 831 744 654 692 615 953 842 176

    Attualmente (2009) si conoscono 46 numeri perfetti pari e nessuno dispari. I primi 39 numeri perfetti sono del tipo 2p–1(2p–1) per i seguenti valori di p:

    2, 3, 5, 7, 13, 17, 19, 31, 61, 89, 107, 127,
    521, 607, 1 279, 2 203, 2 281, 3 217, 4 253, 4 423,
    9 689, 9 941, 11 213, 19 937, 21 701, 23 209,
    44 497, 86 243, 110 503, 132 049, 216 091, 756 839,
    859 433, 1 257 787, 1 398 269, 2 976 221, 3 021 377,
    6 972 593, 13 466 917

    Sono anche perfetti i 7 numeri ottenuti con le seguenti posizioni di p:

    20 996 011, 24 036 583, 25 964 951, 30 402 457,
    32 582 657, 37 156 667, 43 112 609,

    ma non è provato che tra il maggiore della prima successione (13 466 917) e il minore di questa seconda (20 996 011) non vi siano altri numeri perfetti.
    L’approccio del Vescovo di Ippona resta dunque ben lontano dai meravigliosi risultati di Euclide (che era giunto a dare un algoritmo per costruire numeri perfetti). È tuttavia importante notare che le citate opere di S. Agostino sono trattati di soggetto teologico, non certo dedicati alla matematica.

    Una matematica da scoprire?

    Un importante dilemma ha contrapposto (e contrappone) gli studiosi di matematica: la dialettica tra una matematica scoperta e una matematica inventata. L’approccio agostiniano si basa evidentemente su di una matematica da scoprire, una posizione che oggi verrebbe discussa in termini critici. Eppure l’idea di una matematica pura, non mirata a questa o a quella applicazione, a contenuti considerati “in se stessi” oppure, nel testo agostiniano, “usati per comporre le leggi delle figure o dei suoni o di altri moti” merita attenzione. In particolare, esiste una tale matematica assoluta? È impossibile rispondere a questa domanda se non ci si concentra sul valore da attribuire a una tale “esistenza”. Non volendo ricorrere a un Mondo delle Idee in cui collocare i concetti matematici, potremmo riferirci almeno a un’esistenza linguistica: una matematica pura, insomma, esisterebbe nel momento in cui essa può essere espressa in un linguaggio. E proprio il linguaggio, il testo (matematico) al quale fare riferimento, diventerebbe così un punto centrale nella precisazione dell’essenza stessa della matematica (e della sua successiva utilizzabilità). Pier Aldo Rovatti[7] scrive però:

    Dire che ogni ipotesi filosofica è una pratica testuale è un’ovvietà. Ma se riguardiamo da questo punto di vista il gioco del linguaggio, questa variazione nel modo di dire è tutto ciò – e non è davvero poco – che la filosofia può suggerire alle altre pratiche discorsive e alla nostra esperienza complessiva. Non con la pretesa di organizzare un “dizionario”, ma semmai nel tentativo di introdurre pause di percorribilitànell’opacità delle parole.

    Pause di percorribilità nell’opacità delle parole: questa espressione deve far pensare chi si occupa di matematica, della sua espressione, della sua trasmissione. Le nostre parole, i nostri disegni, i nostri grafici cartesiani etc. sono spesso “opachi” e poco “percorribili”, non solo per chi riflette sulla filosofia o sull’epistemologia della matematica, ma anche, ad esempio, per i nostri allievi. Se insomma una qualche forma di esistenza si riconduce a una pratica testuale, è pur vero che i linguaggi possono essere opachi. Ancor peggio, essi possono portare i lettori, matematici professionisti, insegnanti o studenti, a percorrere strade tali da veicolare una particolare concezione della matematica[8]: una linea di ricerca può dunque essere quella di individuare forme linguistiche alternative, tali da suggerire una matematica diversa da quella tradizionalmente proposta nelle nostre scuole, più formativa, più “umana” e forse più divertente.
    A una matematica scoperta e imposta può affiancarsi una matematica inventata ovvero “narrata” (si veda la citazione con la quale chiuderemo questo lavoro, tra poche righe[9]). Oggi «le pratiche filosofiche stanno cominciando, seppure ancora con timidezza e confusione, a farsi sentire nei confronti della cosiddetta filosofia accademica, rimettendo a tema le nostre concrete forme di vita», nota Rovatti.[10] Anche la matematica come pratica, la matematica legata alle nostre concrete forme di vita, può e deve cominciare a “farsi sentire” nei confronti di una matematica principalmente o esclusivamente accademica.
    C’era una volta un tipo che chiese al suo calcolatore: “Calcoli
    che sarai mai capace di pensare come un essere umano? ” Dopo
    vari gemiti e cigolii, dal calcolatore uscì un foglietto che diceva: “La tua domanda mi fa venire in mente una storia…”

    I.G. Bateson e M.C. Bateson

    Bibliografia

    G.T. Bagni. Linguaggio, storia e didattica della matematica. Pitagora, Bologna 2006.
    G.T. Bagni. Rappresentare la matematica. Simboli, parole, artefatti e figure. Aracne, Roma 2007.
    G.T. Bagni. Giochi: storia, geografia, didattica della matematica. Archetipolibri–Gedit, Bologna 2008.
    G.T. Bagni. Interpretare la matematica. Per un’ermeneutica dell’apprendimento. Archetipolibri–Gedit, Bologna 2009.
    G.T. Bagni–D. Gorla–A. Labella. Introduzione alla logica e al linguaggio matematico. McGraw–Hill Italia, Milano 2008.
    I.G. Bateson–M.C. Bateson. Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del sacro. Adelphi, Milano 1989 (Angels fear: Towards an epistemology of the sacred. Macmillan, New York 1987).
    E. Carruccio. Il valore ascetico della matematica nel pensiero di S. Agostino. Studium, 60 (1964), 868–870.
    F. Honsell–G.T. Bagni. Curiosità e divertimenti intellettuali con i numeri tratti dal De Viribus Quantitatis di Luca Pacioli. Aboca Edizioni, Sansepolcro 2009.
    A. Marinoni–M. Garlaschi Peirani. Luca Pacioli, De Viribus Quantitatis. Ente Raccolta Vinciana, Milano 1997.
    L. Radford–H. Empey. Culture, knowledge and the Self: Mathematics and the formation of new social sensibilities in the Renaissance and Medieval Islam. Revista Brasileira de História da Matemática. Festschrift U. D’Ambrosio, Especial, 1 (2007), 231–254.
    P.A. Rovatti. Abitare la distanza. Raffaello Cortina. Milano 2007.
    C. Toffalori. I numeri perfetti e S. Agostino. Archimede, 2 (2008), 75–83.
    Virgilio. Eneide. A. Caro (a cura di). Remondini, Venezia 1777.
    Virgilio. Eneide. R. Sabbadini (a cura di). Loescher, Torino 1905.

    _______________________

    1 Toffalori, 2008, p. 76.

    2 Historia Augusta, 8, 1: Flavi Vopisci Syracusii, Firmus Saturninus Proculus et Bonosus i. e. Quadrigae Tyrannorum.

    3 Si veda: Carruccio, 1964.

    4 Il riferimento è all’Eneide, 1, 2 (Virgilio, 1905, p. 2; per la classica traduzione di A. Caro: Virgilio, 1777, p. 19).

    5 Ci riferiamo ancora a: Toffalori, 2008. Inoltre: Bagni–Gorla–Labella, 2008.

    6 La ricerca di Cataldi può essere confrontata con alcuni lavori rinascimentali collegati alla matematica curiosa o ricreativa. Indichiamo ad esempio: Marinoni–Garlaschi Peirani, 1997, Bagni, 2008, Honsell–Bagni, 2009.

    7 Rovatti, 2007, p. XXX.

    8 Si veda ad esempio: Radford–Empey, 2007; inoltre: Bagni, 2006, 2007 e 2009.

    9 Bateson–Bateson, 1989, p. 59.

    10 Rovatti, 2007, p. X.

  5. cesare ha detto:

    ho molto FIUTO, Anonimo
    😀

  6. Anonimo ha detto:

    Ma questo cesare è il cane da riporto di enrix?
    Bau bau!
    Sa fare qualche altro giochetto?

  7. cesare ha detto:

    smettila di pettinare i pidocchi, Nick: avete fatto una figura di merda tu, Sagra e Sympa. Continua pure ad attacarti a queste minchiate! Quelle di Mori sono immagini animate che seguono esattamente la ricostruzione ORIGINALE di Enrix.
    Vergognati, va’!

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